Cereali come natura crea

Manuela Micucci • feb 16, 2021

Utilizzo dei cereali e loro benefici

Per comprendere il ruolo fondamentale dei carboidrati nella nostra alimentazione dobbiamo, brevemente e in maniera sintetica, risalire alla nascita dell’agricoltura. Circa 12 mila anni fa, in almeno undici regioni del pianeta, fra l’altro dislocate in aree geograficamente isolate una dall’altra, l’uomo apprese l’arte di incrociare tra loro piante selvatiche. In questa maniera nacquero i cereali, il cui nome viene da Ceres, ovvero Cenere, la dea latina dell’agricoltura. Sono piante erbacee, caratterizzate dall’alto contenuto di carboidrati, utili al sostentamento dell’uomo.


Facciamo chiarezza anche sull’origine e diffusione dei vari tipi di cereali nelle differenti aree geografiche del pianeta. Miglio, Riso e Grano Saraceno ebbero origine nell’estremo Oriente, Avena e Segale nel Nord Europa, il Mais nel Nord America, l’Amaranto, la Manioca e la Quinoa in Sud America. Queste specie primarie, che sono identificate come cereali in chicchi, si diffusero pian piano nelle regioni limitrofe grazie a gruppi di agricoltori migranti che impiantarono coltivazioni secondarie al fine di migliorare sia la qualità sia la resa produttiva dei cereali.



Prima dell’avvento dell’agricoltura, l’uomo si procacciava il cibo dalla caccia e dalla raccolta di piante spontanee commestibili. Cosa abbia spinto l’uomo a dedicarsi all’agricoltura è ancora oggetto di ricerca ma, probabilmente, ciò avvenne per sopperire a periodi di carestia anche lunghi. I chicchi dei cereali sopra citati, relativi alla prima coltivazione, contenevano i nutrienti necessari sia allo sviluppo degli stessi sia al sostentamento dell’essere umano.

Il chicco di grano: non il seme ma il frutto!

Il chicco di grano, chiamato cariosside, non è il seme ma il frutto secco del frumento. Esso è composto da tre parti distinte:

  1. la parte centrale, denominata endosperma, contenente al suo interno carboidrati sotto forma di amidi e proteine di scarsa qualità per il loro basso contenuto di amminoacidi essenziali. Da questa parte si ricavano le farine bianche. Sono contenuti in essa alcuni minerali come potassio, calcio e fosforo.
  2. la parte più interna, il germe, contiene invece grassi insaturi (OMEGA 3), vitamine, minerali, proteine e sostanze antiossidanti.
  3. la crusca, che rappresenta lo strato esterno. In essa troviamo invece alcune proteine ad elevato valore biologico, fibra solubile e insolubile, vitamine idrosolubili, acido fitico ed alcuni antiossidanti.


Grazie a queste sostanze, i cereali esercitano effetti benefici sulla nostra fisiologia, effetti che, però, si perdono nel processo di raffinazione.

I cereali raffinati

Tutte le farine bianche (cioè raffinate) ed i chicchi brillati sono ottenuti usando esclusivamente l’endosperma del seme, sono privati quindi sia delle fibre sia delle vitamine e dei minerali, insomma di tutte le sostanze bio-attive di cui crusca e germe sono ricchi. Inoltre, queste sostanze sono necessarie a trasformare i carboidrati in energia da parte dei mitocondri delle cellule che sono appunto le loro centrali energetiche.


Nel processo di raffinazione, quindi, vengono eliminati sia il germe sia la crusca, conservando intatto l’endosperma che ha un alto contenuto di amido e di zuccheri. Lo scarto di queste parti del chicco non è positivo per il nostro organismo perché durante la digestione produrrà maggiore insulina.


Le farine bianche sono anche prive degli antiossidanti necessari a proteggere le cellule dallo stress ossidativo che deriva dai processi metabolici.


Inoltre, con la raffinazione si perdono anche le fibre, utili alla digestione ed all’assorbimento dei carboidrati. In mancanza di queste, i livelli di glicemia non potranno essere stabili, con il rischio di aver dei picchi di iper- e ipo-glicemia successivamente. Oltre a ciò, la fibra rappresenta il cibo per i nostri batteri intestinali che la trasformano in molecole denominate acidi grassi a corta catena, i quali stimolano a livello del colon la produzione di incretine (peptidi secreti dal piccolo intestino) che migliorano l’utilizzo del glucosio da parte delle cellule. Ecco perché ai soggetti con sindrome metabolica da insulino-resistenza e nei diabetici viene consigliato l’utilizzo dei cereali integrali (se pur in maniera controllata e limitata), poiché la fibra è rimedio naturale contro l’innalzamento della glicemia indotta dall’assunzione del carboidrato stesso.


Con la raffinazione viene distrutto l’equilibrio perfetto che è racchiuso nel chicco intero, il quale fornisce all’uomo carboidrati, proteine e grassi compresi i micronutrienti, cioè vitamine, minerali e oligoelementi necessari a trasformarli in energia. Successivamente, con il processo di macinazione e sbiancamento, le farine subiscono ulteriori trasformazioni con l’aggiunta di sale, zuccheri e grassi rendendo così il prodotto più appetibile a livello industriale.


A lungo andare, soprattutto se il consumo di cibi raffinati è sbilanciato ad ogni pasto ed eccessivo, si possono avere degli effetti dannosi per il corpo, nella forma di disturbi intestinali e dell’apparato gastroenterico e, come sopra specificato, una risposta insulinica in eccesso. Secondo l’OMS, dal 1980 ad oggi il numero persone che soffrono di diabete è quadruplicato e si stima che i numeri siano destinati a crescere proprio per le errate scelte alimentari, associate alla mancanza di attività fisica e ovviamente altri fattori secondari correlati.

Il grano di oggi non è quello di una volta

Il grano o frumento (o anche tritico) che consumiamo oggi è ben diverso dall’antico frutto delle coltivazioni primarie di circa dodicimila anni fa, non tanto per l’evoluzione storica dell’agricoltura – perché, in questo caso, ci riferiamo alle ibridazioni o selezioni di varianti vantaggiose con le quali l’uomo ha migliorato la resa dei campi – quanto per le tecniche di coltivazione e trasformazione odierne. Per citarne alcune, l’utilizzo delle radiazioni ionizzanti per creare varietà di grano “nanizzate” che rendono la loro raccolta più facile poiché meno esposte a vento e pioggia. Queste radiazioni hanno modificato il profilo amminoacidico e tale modifica potrebbe innescare reazioni del sistema immunitario che sono alla base della celiachia e della sensibilità al glutine, due problematiche in esponenziale aumento.

Anche l’uso dei concimi chimici, che apportano alla terra soltanto azoto o tutto al più fosforo e potassio, impoverisce il sottosuolo, togliendo alla pianta molti dei minerali che dovrebbe assorbire con le sue radici. Le colture intensive sfruttano il terreno e rendono, quindi, la terra meno fertile perché non rispettano i tempi di rotazione ed il riposo. Così facendo, i terreni vengono sempre più abbandonati all’erosione degli agenti atmosferici ed alla desertificazione. Aggiungiamo i fitofarmaci, molti dei quali cancerogeni, spruzzati più volte durante il ciclo vitale della pianta e durante il trasporto o l’immagazzinamento nei silos; pesticidi che poi ci ritroviamo nel sangue, nelle urine e nel liquido amniotico in stato di gravidanza, trasmettendoli quindi ai nostri figli appena nati!


Nella trasformazione dei cereali per ottenere le farine vengono aggiunti additivi utili poi al processo di panificazione e nel nostro Paese, ad esempio, ne sono ammessi oltre quaranta. Praticamente un cocktail di sostanze chimiche, che fungono da “miglioratori delle farine” come gli sbiancanti, gli antimuffa, i tensioattivi e il solfato di rame.


Anche il processo di macinazione, effettuato nei mulini ad alta velocità, ossida quel poco di vitamine rimaste dai precedenti procedimenti, tanto che poi vengono aggiunte quelle sintetiche e le aziende agroalimentari si vantano di addizionarle rendendolo noto nelle confezioni! La macinazione industriale è un procedimento che distrugge anche le fitasi, enzimi vegetali importanti che il nostro intestino non possiede e che servono ad eliminare l’acido fitico, elemento presente negli strati esterni del chicco che lega i minerali, i quali non potranno in questo modo essere assorbiti dall’organismo poiché, appunto, “sequestrati” dalla presenza di questo acido.


Le coltivazioni intensive ed i processi industriali di raffinazione e trasformazione hanno reso i cereali un alimento completamente diverso da quello di mille anni fa, incapace non solo di sostenere la salute ed in grado, al contrario, di danneggiarla.

I carboidrati: la fonte principale di energia per l’uomo

I carboidrati si trovano nei cereali, nei legumi, nella frutta e nella verdura, quindi, in tutti gli alimenti di origine vegetale, ed in un solo elemento di origine animale: il latte.


Essi sono ricchi di zuccheri e da questi il nostro corpo ricava la maggior parte dell’energia necessaria per svolgere le sue funzioni. Sono anche denominati glucidi dal greco “glykys”, che significa “dolce”, uno dei sei gusti fondamentali e quello che amiamo di più; una predilezione che si sviluppa precocemente, tanto che lo preferiamo ancora prima della nascita. Negli ultimi mesi di gravidanza, infatti, il feto avverte la presenza di glucosio nel liquido amniotico che lo circonda e le deglutizioni aumentano mentre, al contrario, il gusto amaro le inibisce. Un’altra cosa interessante, che volevo rendere nota in questo articolo, è che i recettori del gusto non sono localizzati soltanto nella bocca, ma si trovano nel pancreas, nel tubo digerente, nei reni e persino nella pelle! Per questo il neonato, che alcuni hanno definito con l’accezione “organo di senso” non avendo sviluppato la ragione, assapora con intensità la dolcezza del latte materno che egli percepisce con ogni sua cellula (il rapporto simbiotico madre neonato, compreso il contatto fisico che ne stimola la produzione). La preferenza del dolce, così come il rifiuto dell’amaro, continua anche nei primi anni di vita, infatti, il dolce tranquillizza il bambino e lo spinge nella sua ricerca istintiva degli alimenti migliori per la sua sopravvivenza, quelli cioè a più alto contenuto energetico. Che sono poi gli stessi alimenti che Madre Natura ci offre attraverso i frutti della terra!

L’energia che viene dalla luce del sole: la fotosintesi

La fotosintesi è un argomento trattato sui banchi di scuola, che tutti conosciamo ma, probabilmente, nel tempo abbiamo rimosso la sua straordinaria essenza! Grazie alla luce del sole, nelle piante avviene una reazione chimica-alchemica attraverso la quale le piante, sfruttando l’anidride carbonica dell’aria e l’acqua della terra (materia inorganica), le trasformano in glucosio (materia organica) e questa energia viene appunto fissata nei carboidrati che così la conservano per, poi, trasmetterci la loro energia!


Ogni anno, per mezzo della fotosintesi clorofilliana, le piante che vivono sulla terra immagazzinano un quantitativo di energia solare sette volte maggiore del fabbisogno energetico della popolazione mondiale! Tutta questa energia (potenza espressa in terawatt) è contenuta nel numero di molecole di glucosio, non calcolabile matematicamente, prodotte appunto dalla fotosintesi e ognuna di queste molecole è il risultato della sintesi di sei molecole di acqua, che la pianta assorbe attraverso le radici, e di sei molecole di anidride carbonica che prende dall’atmosfera tramite le foglie. 


Quando, poi, mangiamo vegetali e cereali, quel glucosio entra appunto sotto forma di cibo nel nostro organismo e viene utilizzato dai mitocondri che, come vi ho spiegato in altri articoli, sono le centrali energetiche della cellula che lo convertono in acqua che sarà eliminata o con il sudore e con le urine o sotto forma di anidride carbonica tramite la respirazione. In merito a questo, anche se argomento non è inerente all’articolo, ci tengo a ricordarvi l’importanza di respirare correttamente, infatti, la corretta ossigenazione cellulare e quindi tissutale è importante sia dal punto di vista metabolico sia per mantenere uno stato di salute ottimale!


Tornando al processo di trasformazione del glucosio attraverso l’alimentazione, della molecola originale resteranno così solo delle particelle di luce (fotoni) necessarie a sostenere i processi vitali del nostro corpo. Per questo è importante che la nostra alimentazione sia prevalentemente vegetale, non solo perché i vegetali (piante ed erbe) e la frutta contengono vitamine, minerali, oligoelementi, sostanze antiossidanti, fibre solubili, enzimi e clorofilla ma perché, come abbiamo visto, rappresentano la nostra prima e più diretta fonte di energia (anche se oggi se ne fa un consumo eccessivo a sfavore di grassi e proteine che invece sono stati demonizzati negli ultimi trent’anni). Ma dedicherò un articolo anche a questa tematica e alla dieta chetogenica.


Nel corso del tempo, l’uomo, attraverso il processo di industrializzazione (raffinazione) ed i metodi di coltivazione ha modificato questo processo perfetto, rendendo i carboidrati da alleati della salute a nemici del benessere e della forma fisica. Ecco perché oggi si ha confusione di opinioni e teorie a proposito della presenza o meno di carboidrati nelle diete.

Carboidrati “buoni” e carboidrati “cattivi”

Per capire il concetto precedente, è utile spiegare la chimica dei carboidrati. A seconda delle molecole di zucchero che essi contengono, infatti, i carboidrati vengono classificati in:


  • ­SEMPLICI: essi sono i monosaccaridi e i disaccaridi. I primi sono formati da una singola molecola di zucchero; i principali sono il glucosio, il fruttosio presente nella frutta e nel miele e il galattosio. I secondi si formano dall’unione di due sole molecole di monosaccaridi e sono il saccarosio, cioè il comune zucchero da tavola proveniente dalle barbabietole e dalla canna da zucchero, il maltosio, presente nei malti, e il lattosio, presente nel latte. Quest’ultimo è frutto dell’unione di una molecola di galattosio e una di glucosio;
  • COMPLESSI: essi sono gli oligosaccaridi e i polisaccaridi. I primi sono tali quando i carboidrati sono formati da tre a nove molecole zuccherine, i secondi quando le molecole vanno da dieci a migliaia, legate tra loro in modo da immagazzinare il maggior numero di energia nel minor spazio possibile. L’amido è un importante polisaccaride abbondante nei semi, cereali e legumi che sono stati per secoli la fonte di sostentamento dell’umanità, e nei tuberi.


Attraverso la masticazione, che deve essere corretta perché costituisce la prima fase di digestione dei carboidrati, e la successiva digestione a livello intestinale, il nostro corpo scinde i carboidrati complessi in semplici prima di immetterli nel sangue. Pertanto più il carboidrato è complesso, più il nostro organismo impiega tempo per assimilarlo e ciò è un bene per la nostra salute; per questo dovremmo sempre scegliere carboidrati complessi ed escludere o limitare al massimo quelli semplici.


La fibra, invece, formata sia da oligo sia da polisaccaridi, è presente quantitativamente e qualitativamente in modo differente nella frutta, nella verdura, nei cereali e nei legumi, ed è lo scheletro che sostiene la pianta. Le molecole zuccherine contenute nella fibra sono unite da un legame che i nostri enzimi non riescono a sciogliere e di conseguenza le fibre non possono essere né digerite dallo stomaco né assorbite dal nostro intestino. Non rappresentano, quindi, una fonte di energia per il nostro organismo ma sono ugualmente importanti perché sono il nutrimento per i “batteri buoni” del nostro intestino. Pertanto, non dobbiamo commettere l’errore di non considerarle importanti o temerle perché pensiamo ci creino gonfiore (in questo caso il problema è la disbiosi intestinale e la non corretta combinazione alimentare).


A proposito di batteri intestinali, essi non sono semplici spettatori, ma svolgono un ruolo fondamentale per la nostra salute visto che producono vitamine, favoriscono l’assorbimento di minerali, contrastano la crescita dei patogeni, sintetizzano gli acidi grassi a corta catena le cui molecole poi entrano nel sangue per ottimizzare il metabolismo sia del glucosio sia del colesterolo.


Le fibre hanno un ruolo fondamentale anche perché i batteri nutriti di queste migliorano l’integrità della mucosa intestinale, che in questo caso funge da barriera, riducendo quindi i fenomeni di infiammazione intestinale. Tra l’altro, ti ricordo che l’equilibrio intestinale assicura il corretto funzionamento del sistema immunitario, che per il 70% è presente nel nostro intestino!

Attenzione allo zucchero!

Come accennato, la digestione dei carboidrati inizia dalla bocca, attraverso la masticazione, ad opera di enzimi salivari e, successivamente, di enzimi presenti nella prima parte dell’intestino. Poi, grazie ai succhi pancreatici, i carboidrati entrano nel sangue, dove verranno utilizzati dalle cellule per svolgere le funzioni vitali, il resto verrà immagazzinato nel fegato e nei muscoli sotto forma di glicogeno. Le scorte di glicogeno che siamo in grado di accantonare sono però limitate e, quindi, oltre una certa soglia, l’eventuale eccesso di carboidrati assunti con l’alimentazione verrà immagazzinato nel nostro corpo sotto forma di grasso.


Ti vorrei spiegare quali strade percorre lo zucchero che assumiamo dai carboidrati


In prima battuta, affluisce nel sangue in misura maggiore se da zuccheri semplici, la via di scorrimento più veloce che lo conduce alle cellule. La parte eccedente viene distribuita al fegato e ai muscoli, dove appunto sarà convertita in glicogeno, il resto, non trovando altro spazio e impiego, sarà trasformato dal fegato in grasso che tornerà in circolo per accumularsi nel tessuto adiposo. Il compito di dirigere questo traffico spetta ad un ormone prodotto dal pancreas, l’insulina. Questa entra in gioco quando le vie del sangue sono sature di glucosio al fine di convogliarlo correttamente verso le cellule del fegato e dei muscoli, dove i mitocondri si attivano per stoccare il glucosio in glicogeno utile al lavoro muscolare e la successiva trasformazione in grassi. Capiamo bene come l’insulina regoli la quantità di glucosio nel sangue e, quindi, la sua capacità di abbassare i livelli di zucchero quando questi risultano alti a livello ematico (glicemia) e riesce in questo lavoro fin quando le cellule rispettano le sue indicazioni!


Una sensibilità all’insulina corretta vuol dire che tutto funziona correttamente e che il traffico del glucosio è sotto controllo ma, quando questo inizia ad essere abbondante, le cellule del fegato e quelle muscolari non riescono a lavorarlo tutto, opponendosi alle indicazioni dell’ormone insulina e resistendo così all’ingresso di altro zucchero. Si instaura una situazione di insulino-resistenza, con alterati livelli di glicemia, a causa del non controllo del famigerato e sopra descritto traffico del glucosio nel sangue. Nel frattempo, il fegato incorre in un super lavoro, al fine di trasformare maggiormente glucosio in grassi da inviare attraverso il sangue nel tessuto adiposo con il rischio di ritrovarci però con il girovita aumentato di qualche centimetro!

L’insulino-resistenza: un rischio da non correre

L’insulina, come ho già spiegato, facilita il trasporto dei grassi all’interno delle cellule adipose ma, nel contempo, impedisce loro di eliminarlo, ostacolando quindi il dimagrimento per l’effetto della conservazione del grasso. L’insulina riduce, quindi, sia la degradazione sia lo smaltimento dei grassi, stimolando la produzione ed il deposito dei trigliceridi, che rappresentano il tipo più comune di grasso in circolo nel sangue e nel tessuto adiposo. Tale azione comporterà nel tempo un aumento di peso e problematiche vascolari, tenendo presente che i trigliceridi sono responsabili, insieme al colesterolo, della produzione di placche ateromasiche. Tra l’altro, questi grassi si depositano anche a livello muscolare ed epatico ostacolando il corretto funzionamento degli organi interessati. Il pancreas, in questo caso, si attiva per produrre maggiore insulina, ma le cellule ormai sature non riescono ad accogliere nuovo glucosio, perché non sono più in grado di trasformarlo in energia e, così facendo, non sono più sensibili all’ormone insulina, altrimenti andrebbero incontro a stress ossidativo con conseguente danno cellulare. Questo avviene perché le cellule, contenendo all’interno la struttura del DNA, devono preservarla, a discapito del glucosio che lasciano all’esterno per l’incapacità dei mitocondri di gestire glucosio in eccesso. Esso, infatti, è una molecola altamente reattiva a livello intracellulare e che danneggia grassi e proteine, mentre nel sangue risulta meno pericolosa ma, comunque, comporta danni alla salute seppur in tempi più lunghi.


Le cellule, opponendosi a ricevere il glucosio in eccesso, infatti, frenano l’ingresso sia della Vitamina C sia della Carnitina, poiché sono nutrienti che dipendono anch’essi dall’insulina. Con l’instaurarsi dell’insulino-resistenza avremo, quindi, anche una vitamino-C-resistenza e, essendo questa vitamina un potente antiossidante, un minor ingresso cellulare comporta maggior stress ossidativo, il quale, a sua volta, ricade sul corretto funzionamento dei mitocondri che, se ossidati, consumeranno meno glucosio, obbligando le cellule a divenire ancora più insulino-resistenti.


Accade lo stesso per la Carnitina, un derivato amminoacidico che favorisce la trasformazione dei grassi in energia e che, come appena detto, ha il suo ingresso all’interno della cellula favorito dall’insulina. Pertanto, in caso di resistenza insulinica, oltre alla vitamina C, entrerà meno carnitina a livello intracellulare, con conseguente rallentamento del metabolismo dei grassi. Si instaura così un circolo vizioso poiché il rallentamento della conversione del glucosio in energia ed in grasso porterà all’aumento della glicemia, con peggioramento della condizione di insulino-resistenza ed un crescente rallentamento metabolico con ripercussioni sul funzionamento cellulare. Per tale ragione, spesso le persone in sovrappeso accusano stanchezza e mancanza di energia.


Le conseguenze relative alla resistenza insulinica non si fermano soltanto all’aumento di peso, stanchezza e poca energia, ma vanno anche oltre, visto che il cattivo funzionamento cellulare incide su altri distretti corporei e su organi come cuore, fegato, reni, apparato circolatorio e immunitario.


Si è vista nell’ultimo decennio anche la correlazione fra ridotta sensibilità insulinica e disturbi di apprendimento e di memoria. Il cervello, contrariamente a quanto si pensava molti anni fa, è sensibile al glucosio, tanto che i neuroni si trovano in deficit di glucosio e di chetoni, la cui produzione è limitata appunto dall’insulino-resistenza. Pertanto, un’alimentazione che eccede in carboidrati raffinati e zuccheri alimenta il rischio di decadimento cognitivo e, aggiungo, l’incidenza del diabete nell’Alzheimer.

Come evitare l’instaurarsi dell’insulino-resistenza?

Credo che, dalla lettura di questo articolo, tu abbia dedotto quanto sia importante, se non necessario, ridurre il consumo di carboidrati raffinati e di zuccheri, non solo nel momento in cui si è arrivati ad una resistenza insulinica, ma in prevenzione, per garantirci un equilibrio metabolico che preservi lo stato di salute del nostro organismo. Non solo è necessario limitare, pertanto, l’assunzione di panificati, pasta, riso e cereali ma, al contempo, introdurre un maggior consumo di fibre, sostanze antiossidanti e vitamine.


Possiamo sostituire alle classiche farine, ad esempio, quella di mandorla, di avena, di semi di lino e di baobab nella preparazione di dolci e surrogati di snack anche salati casalinghi. Fra l’altro, nella mia pagina Instagram, che ti invito a visitare, potrai trovare delle ricette utili, semplici e veloci, di facile gestione anche per chi non è abituato alla cucina casalinga.


Per quanto riguarda l’uso di cereali, che consiglio sempre limitatamente ad un paio di volte la settimana, a meno che tu non sia in un regime particolare alimentare, tipo chetogenica o paleodieta, puoi utilizzare i cereali in chicchi senza glutine come miglio, avena, sorgo, grano saraceno, amaranto e riso. Quest’ultimo da prediligere nelle varietà basmati semi o integrale, rosso (riso Venere o selvaggio) e nero.


Puoi tentare di inserire gradualmente il digiuno ad intermittenza, nelle sue diverse varianti, cui ho dedicato il precedente articolo che vi consiglio di leggere per avere un’idea di cosa sia e di come può essere affrontato!


Scoprirai, così, che il digiuno è uno dei comportamenti alimentari più efficaci e veloci per abbassare i livelli di insulina nel sangue e ripristinare le varie funzioni corporee citate in questo articolo che dipendono da questo ormone. Non meno importante la produzione di ossido nitrico, una sostanza prodotta dai vasi sanguigni e che permette la loro dilatazione. Non a caso, chi incorre nell’insulino-resistenza potrebbe avere problemi di ipertensione a causa della riduzione di produzione di ossido nitrico, con conseguente vasocostrizione.


In ultimo, ci tengo a precisare, per evitare di giungere a conclusioni errate, che l’insulino-resistenza non è solo un problema che si riscontra nei soggetti in sovrappeso od obesi, ma è una condizione oggi riscontrabile anche nei normopeso, proprio per le cattive abitudini che la media della popolazione ha assunto a tavola.


Il naturopata può aiutarti a ristabilire il giusto equilibrio fra l’apporto ed il consumo di nutrienti, sia dal punto di vista qualitativo sia quantitativo, non solo ai fini del raggiungimento del peso ideale, ma per ottenere uno stato di salute ottimale che ci permette di ridurre possibili malattie.

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